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Grecia, al tempo degli eroi. Patroclo, giovane e gracile principe, vive in esilio nel regno di Ftia, all'ombra del re Peleo e del suo figlio prediletto, il glorioso Achille. Achille "il migliore tra i greci" è così diverso da lui: forte, bellissimo, figlio di una dea. Eppure un giorno Achille prende il ragazzo maldestro sotto la propria ala e presto il loro incontro, mentre si allenano a diventare uomini esperti nell'arte della guerra, si trasforma in una salda amicizia, e perfino in qualcosa di più. Ma, come ben sappiamo, il destino è in agguato e presto i due giovani si troveranno a combattere sotto le mura di Troia.
«Miller si impegna a creare una narrazione in cui le varie fasi del desiderio e della soddisfazione si succedano in un crescendo di audacia e dolcezza» – Nicola Gardini, Domani
«L'epica pone i ragazzi di fronte a emozioni potenti, il coraggio, la rabbia, l'amore... Per questo li appassiona ancora» – Madeline Miller, intervista a La Lettura – Corriere della Sera
Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l'orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d'armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d'amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell'epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l'omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l'ormai usurata vicenda di Elena e Paride.
COME COMINCIA
Mio padre era un re, figlio di re. Come la maggior parte di noi, non era molto alto e aveva la corporatura di un toro, era tutto spalle. Sposò mia madre quando lei aveva quattordici anni, dopo che la sacerdotessa gli aveva assicurato che sarebbe stata feconda. Era un buon accordo: lei era figlia unica e tutte le fortune del padre sarebbero andate a suo marito. Fu solo durante le nozze che lui si rese conto che mia madre era debole di mente. Il padre di lei aveva fatto in modo di tenerla velata fino alla cerimonia e mio padre aveva accettato di buon grado. Se fosse stata brutta, c'erano sempre le schiave e i giovani servitori. A quanto si dice, quando alla fine venne scostato il velo, mia madre sorrise. E fu così che mio padre capì che era idiota. Le spose non sorridono. Quando partorì me, un maschio, mio padre mi sfilò dalle sue braccia e mi passò a una levatrice. Mossa a compassione, la donna diede a mia madre un cuscino da stringere al mio posto. Lei lo abbracciò. Non parve notare alcuna differenza. Ben presto, mi rivelai una delusione: piccolo e sottile. Non ero veloce. Non ero forte. Non sapevo cantare. La cosa migliore che si poteva dire di me era che non ero cagionevole. I malanni e i crampi che affliggevano gli altri bambini non mi sfioravano nemmeno. Questo non faceva altro che insospettire mio padre. Ero forse una creatura non umana? Mi studiava accigliato, mi teneva d'occhio. Quando sentivo il suo sguardo su di me, mi tremavano le mani. E poi c'era mia madre, che non era capace di bere senza versarsi il vino addosso.
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Possono nascere l'amore e l'amicizia fra due anime apparentemente opposte? Due giovani, uno nato principe da una dea bella e terribile, l'altro profugo, reietto cacciato dalla patria e da un padre che gli ha insegnato solo la legge della paura. Si trovano, si riconoscono e si amano teneramente e appassionatamente. Insieme andranno incontro ad un destino che li vedrà uniti, così giovani, nell'eternità.
Il Pelide Achille come non l'abbiamo mai letto, giovane, pulsante di emozioni, carico di vita, di sogni e di aspettative. Costretto a combattere e a soffrire per amore
Da ragazzina impazzivo per la letteratura greco-latina, tanto da essermi iscritta al liceo classico. Per diversi anni ho mangiato pane e Iliade/Odissea, ne ho studiato diverse versioni e avevo imparato a memoria interi tratti della traduzione che ne fece Monti. In seguito, sarà stata anche "l'indigestione", me ne sono diametralmente discostata preferendo la letteratura italiana moderna e contemporanea. Quando "La canzone di Achille" ha fatto scalpore non mi sono mostrata particolarmente entusiasta e ho atteso parecchio prima di decidere di leggerlo. Mi hanno convinta alcune persone di fiducia, che ne hanno fornito un giudizio obiettivamente positivo. L'inizio mi ha lasciata perplessa (ma forse ero influenzata dalla convinzione che si trattasse dell'ennesima rilettura di un capolavoro). Non ho apprezzato in particolare l'eccesso di romanticismo, quasi da romanzo sentimentale. A partire però dall'episodio di Achille travestito da donna, lo stile cambia assecondando l'azione che permea le vicende. Addirittura nella fase terminale, la prosa si asciuga ulteriormente per divenire una sorta di "parafrasi della parafrasi". Non so se questi mutamenti possano ricondursi alla lunga gestazione della stesura, addirittura di dieci anni secondo quanto indicato dall'autrice, o se invece si tratti di una scelta vera e propria. Sta di fatto che mi sento di consigliarlo in pieno: nonostante si tratti di miti noti a tutti, la scrittura riesce comunque a dimostrarsi originale e appassionante. Miller riesce davvero a trasportarci nel mondo di Achille e Patroclo, con dialoghi convincenti e realistici.
Recensioni
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