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«Shirley Jackson è una delle scrittrici più suggestive e strane del Novecento americano. Abbiamo sempre vissuto nel castello, un libro unico e fiabesco, è il suo capolavoro» - Jonathan Lethem
"A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce"; con questa dedica si apre "L'incendiaria" di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo "La lotteria". Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai 'cattivi', ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Particolare
Shirley Jackson con un stile accattivante ti tiene incollato al libro, parola dopo parola fino ad arrivare al finale.
Lettura intrigante ed interessante! Consiglio
Recensioni
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«Feci finta di non capire; sulla luna parlavamo una lingua dolce e liquida e cantavamo alla luce delle stelle, contemplando da lassù il mondo arido e senza vita»
«Il tempo si stava esaurendo, stringeva la casa in una morsa, mi schiacciava»
Definita da Stephen King un’autrice «che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce», Shirley Jackson con Abbiamo sempre vissuto nel castello, romanzo del 1962, non fa che confermarlo.
La scrittrice mostra tutta la maestria nel far serpeggiare il Male tra le righe di una trama narrata sottovoce. Le sorelle Merricat e Constance Blackwood vivono con l’anziano zio in una villa isolata, e subiscono le maldicenze del paese limitrofo a causa della misteriosa morte, accaduta per avvelenamento, del resto della famiglia. Nonostante ciò, sono riuscite a costruire un idillio perfetto in quel castello che sembra essere inespugnabile dall’esterno, una candida quotidianità che viene ben presto spazzata via dall’arrivo del cugino Charles.
Shirley Jackson riesce a costruire lentamente una trama fatta di brividi e tensione, nascondendola nei piccoli dettagli. Il senso di claustrofobia e di malattia nei rapporti è reso in modo sempre più pressante attraverso gli atti routinari di Constance, le chiacchiere fantasiose tra Merricat e il gatto Jonas, i malinconici ricordi di zio Julian: il lettore sin da subito sa che c’è qualcosa che si cela nell’aria, qualcosa di inquietante e a tratti stregonesco nel racconto filtrato dagli occhi di Merricat, io-narrante del romanzo.
Le atmosfere e i sinistri eventi hanno la capacità di suggerire un racconto simbolico di cui l’odio, l’ossessione e la paranoia sono gli assoluti protagonisti. Il senso di avversione ed esclusione che l’uomo prova per i suoi simili riescono a emergere con potenza ma senza prepotenza grazie alla raffinatezza della prosa di Jackson.
Unendo il gotico al thriller psicologico, Abbiamo sempre vissuto nel castello è un libro che fa dell’orrorifico un racconto sussurrato, che riesce a perturbare la mente del lettore non servendosi del mostruoso, ma di qualcosa di più intimo: i rapporti umani, anche quelli che dovrebbero proteggerci.
Recensione di Raffaella Di Marco
Si ringrazia il Master Professione Editoria dell'Università Cattolica di Milano
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