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Vincitore premio Strega 1979
Il libro piú ottimista e allegro di Primo Levi, scritto trent'anni dopo Auschwitz e la sconvolgente testimonianza sui Lager nazisti rivelata in Se questo è un uomo.
Faussone, detto Tino, il protagonista di questa «opera prima» di Primo Levi, ovvero del suo primo romanzo d'invenzione, è un operaio specializzato che si lascia alle spalle la dura esperienza della catena di montaggio alla Lancia e gira per il mondo a montare gru, ponti sospesi, strutture metalliche, impianti petroliferi. Il romanzo racconta la sua vita e il suo lavoro: una sorta di Odissea moderna con protagonista una specie di Ulisse che dall'India alla Russia, dall'Alaska all'Africa offre agli altri la sua voglia di fare e la sua tecnica e che Levi racconta con gusto e ironia, immedesimandosi nel personaggio e nelle sue avventure.
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E Levi, che qui 'si finge' (in senso leopardiano) e funge da interlocutore, ha montato una storia dall'idea e dalla struttura mica male. Attraverso il racconto-fiume di un immaginato indefesso e peculiare lavoratore industriale di nome Faussone, traspare una certa attitudine da romanziere di Levi. Per essere il primo tentativo letterario fuori dallo strettissimo autobiografismo universalmente noto, ha sciolto qui qualche dubbio che avevo riguardo alla sua effettiva capacità creativa di superarlo, almeno parzialmente. PERÒ (ed è un però grande come una casa), ci ho trovato esattamente quello che lui ha voluto far trovare, e cioè, cito testualmente: «[Faussone] Non è un gran raccontatore: è anzi piuttosto monotono, e tende alla diminuzione e all'ellissi come temesse di apparire esagerato, ma spesso si lascia trascinare, ed allora esagera senza rendersene conto. Ha un vocabolario ridotto, e si esprime spesso attraverso luoghi comuni che forse gli sembrano arguti e nuovi; se chi ascolta non sorride, lui li ripete, come se avesse da fare con un tonto.» E purtroppo questo è il risultato, perché la voce narrante predominante è quella di Faussone, ed è lui l'intrattenitore 'piuttosto monotono [...], dal vocabolario ridotto, ecc...', che non è riuscito minimamente ad appassionarmi. Ergo, tutti i quattordici episodi di cui è composto "Chiave a stella" esprimono, in sostanza, proprio 'quelle' caratteristiche. Succede infatti che Levi stesso - attraverso questo escamotage narrativo - nell'insieme, ha reso il romanzo effettivamente mediocre, dandosi la zappa sui piedi e sortendo, a mio avviso, un micidiale effetto boomerang. È un fatto che, in letteratura, tollero malamente registro e gergo colloquiali/dialettali se, come in questo caso, risultano prevalenti.
Per chi ama Primo Levi, questa lettura è un completamento che è opportuno compiere. Così lontano dalle opere che più contraddistinguono l'autore, vale la pena leggerlo, per il contenuto e il messaggio e per lo stile utilizzato.
Un Primo Levi che non ho mai letto e che mi ha fatto più volte sorridere per la sua semplicità, mostrando un lato dell'autore totalmente diverso rispetto ai suoi grandi testi sulla condizione da lui vissuta nei campi di concentramento. Definirei questo testo come un elogio al lavoro capace di soddisfare l'essere umano, mostrandone le difficoltà che incorrono ma allo stesso tempo la soddisfazione che se ne può trarre, indipendentemente dalle caratteristiche del lavoro. Non è il primo scritto che consiglierei per conoscere l'autore ma penso che sia altrattanto valido e capace di mostrare la quotidianità degli eventi di ciascuno sotto la prospettiva del magnifico personaggio di Faussone, indimenticabile e a cui è impossibile non affezionarsi.
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