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Anno edizione: 2022
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Anno edizione: 2013
Dopo una notte di pioggia torrenziale, all'alba grigia e funerea del 23 ottobre, arriva una telefonata ad Annunziata Osvaldo, centralinista della Questura di Napoli. Una strada è crollata. E poi un palazzo in via Tasso. La città sembra liquefarsi mentre l'acqua scorre, penetra, danneggia. Andreoli Carlo, giornalista che si occupa dei misteriosi accadimenti, si fa testimone degli effetti di una diabolica pioggia che sembra non finire mai. E intanto voci inquietanti risuonano dal Maschio Angioino, l'enigma di tre bambole assilla le autorità, sale l'acqua del mare e le monetine da cinque lire cominciano d'un tratto a suonare canzoni. Un romanzo cupo e raffinato sulla bellezza e l'enigma che da sempre ammantano la città di Napoli, un'opera diventata con il tempo un clamoroso caso letterario del secondo Novecento. La sua scomparsa dalle librerie coincise con quella dell'autore dalla città e dal giornalismo, facendo di Nicola Pugliese un "Salinger napoletano". Trascorse con ostinato riserbo gli ultimi anni nel paesino di Avella in Bassa Irpinia, dove si era trasferito in un isolamento volontario. Mentre la critica si ricordava di Malacqua consacrandolo come un capolavoro, i lettori più fortunati si passavano in fotocopia quel testo ormai introvabile.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
se si ama napoli e il suo lato più oscuro - perchè spesso escluso dalla narrazione contemporanea - non si può non leggere questo libro le sue atmosfere, i suoi tempi dilatati. le nevrosi. le ossessioni. il linguaggio innovativo di Pugliese, la sua capacità di portarti in una dimensione quasi onirica, ma che poi ti accorgi essere maledettamente reale.
Una prosa poetica fatta di periodi lunghi, ma ben scritti e avvolgenti accompagna il lettore attraverso quattro giorni di pioggia continua a Napoli, con eventi drammatici, la voragine che si apre in una strada ed il crollo di una palazzina ed altri presagi, meno luttuosi, ma inquietanti, come le urla che dalla sala comunale si sprigionano verso la città. È come un lamento che la città rivolge al suo popolo per l’ineluttabilità del suo declino. Questo è il tema di questo particolarissimo romanzo, pubblicato nel 1977, opera prima e quasi unica, di un giornalista del vecchio quotidiano Roma. I fenomeni come l’urlo, che verrà stabilito provenire da una bambola od il lento salire del livello del mare nell’agosto precedente, sono i presagi inquietanti di un “accadimento “ che tutti temono, ma che non accadrà e tutto resterà solo il senso continuo della precarietà, dell’inanità e della rassegnazione. Un insieme di personaggi vive questi eventi, dai politici che cercano di scaricare la seccatura, ai tanti cittadini, raccontati in bozzetti, ognuno dei quali si sforza di andare avanti con la sua vita e le conseguenze di questi eventi. Il libro, senza interruzioni, è intenso fino all’oppressione ed è lontano, come struttura, dal mio ideale letterario, ma sicuramente è un’opera originale, forse unica.
Per certi versi, la storia editoriale di Malacqua, unico romanzo di Nicola Pugliese, ricorda quella del Cacciatore Ricoperto di Campanelli, di Giuseppe Lo Presti. Entrambi pubblicati originalmente da grandi case editrici (da Einaudi, il primo, da Mondadori, il secondo), supportati, promossi e lodati da scrittori autorevoli (da Italo Calvino e da Aldo Busi rispettivamente), casi editoriali che ricevettero i favori e della critica e del pubblico, i due romanzi sono stati per anni fuori catalogo e praticamente introvabili, e solo recentemente sono stati riproposti al pubblico grazie alla buona volontà di due piccole case editrici (Stampa Alternativa ha ristampato il libro di Lo Presti nel 2015, Tullio Pironti Editore quello di Pugliese nel 2013). È un vero peccato, dal momento che parliamo di due opere estremamente raffinate e sofisticate nello svolgersi, elegantissime nell'uso di un linguaggio inventivo e visionario, sempre pronto a premere sul ritmo e sui limiti del dicibile in maniera sottile e mai caciarona, sperimentando, quindi, ma senza l'inutile cagnara sollevata da certi inetti sperimentatori. Laddove il libro perverso e oscuro di Lo Presti getta il lettore negli abissi di una storia decadente, che strizza l'occhio, da una parte, a un certo esistenzialismo francese ribollito in salsa norditaliana, e, dall'altra, alla feroce saudade di un Ernesto Saba, l'opera di Pugliese è più mediterranea, più partenopea, non meno visionaria e, anzi, più magica. Tuttavia, non siamo di fronte a cento anni di solitudine; semmai, a quattro giorni sospesi, fuori dal tempo, privati di senso. Quello di Pugliese, dunque, non è un 'realismo magico', perché gli eventi raccontati nel suo romanzo frantumano il concetto stesso di realtà. Rimane soltanto la coscienza dei protagonisti, un coro di voci che, in mancanza di una salvifica ancora esterna, cantano sé stesse. La vera protagonista di Malacqua è però Napoli, città-mondo, metafora di sé stessa. Non è una Napoli gomorroica e iperrealista, quella di Pugliese. Non si parla di camorra, corruzione e spaccio. Non che se ne voglia negare l'esistenza: quelle cose (camorra, corruzione e spaccio) ci sono, o, perlomeno, se ne intuisce la presenza, ma ciò che interessa a Pugliese è qualcosa d'altro, di più profondo. Napoli, dunque, diventa la città bagnata dal mare, dove il mare va a cercare i suoi amici bambini quando questi non possono andare a giocare con lui. È anche vittima di un'acqua diversa, extra-marina, quella di una strana pioggia che si riversa sulle sue strade dilaniate e sui suoi edifici 'di cartone', senza pietà e senza senso, per ben quattro interminabili giorni. Durante i quattro giorni di pioggia inspiegabile, i cittadini di quella che è una città visibile e invisibile allo stesso tempo rimangono in attesa. Perché qualcosa, dopo quella pioggia irruente e immotivata, dovrà pur succedere: altrimenti, perché? Romanzo corale e surreale, Malacqua unisce l'indagine psicologica dei molti personaggi a temi esistenzialistici, simboli ermetici che sfociano nel paranormale - come nel caso, forse irrisolvibile, delle inquietanti bambole parlanti che non mancano di sbucare fuori, sistematicamente, in certi punti della città. Colpiscono, soprattutto, il linguaggio e lo stile di Pugliese, che scrive come se cantasse, o come se declamasse endecasillabi sciolti, arrivando a tessere una trama intricata di ritmo e rime interne. Interpretare Malacqua, i suoi personaggi e le sue metafore, potrebbe essere un'impresa inutile, dal momento che forse lo scopo di Pugliese era proprio quella di mostrare non la banalità del male, ma la schiettezza della mancanza di senso. Di conseguenza, invece di soffermarmi su questo o quel dettaglio di una trama inafferrabile e irraccontabile, vorrei concludere chiedendomi che fine fanno certi capolavori della letteratura italiana, accolti da tutti come se dovessero condurre a chissà quale evento straordinario, ma fatti scivolare via come acqua piovana e inutile. Dimenticati dalle case editrici, dai lettori, dal coro stridulo dei teorici e dei critici italiani, sempre pronti a urlare, felicissimi e scodinzolanti, quando si tratta di cannibalizzare un loro connazionale, demolendone sia l'opera che le intenzioni, salvo poi fare spallucce e voltarsi dall'altro lato, come un pugno di omertosi quaquaraqua, quando si trovano di fronte a una prova letteraria di cui valga veramente la pena parlare. Ma i libri, come ci insegnò il mefistofelico Bulgakov, non muoiono mai. Ecco che, infatti, Malacqua è stato tradotto e pubblicato in Inglese nel 2017, da Shaun Whiteside. E, sebbene non sia stato accolto troppo favorevolmente dal pubblico (basti vedere le impietose 'due stelle e mezzo' su amazon.co.uk), il romanzo di Pugliese ha raccolto gli entusiasmi sia di alcuni critici di professione che da noti recensori della blogosfera. C'è di più: recentissimamente (7 novembre 2018), è anche uscita la traduzione in francese e, conseguentemente, le prime recensioni, tutte favorevoli, dei nostri cugini d'oltralpe. Ha dunque senso continuare a scrivere in una nazione dove non legge più nessuno e dove nessuno è più interessato alla letteratura? Certo. Bisogna continuare a scrivere, per ricordare chi ha scritto prima di noi, perché il mondo dei libri non si esaurisce dentro i confini miserabili di una nazione sempre più piccola, e perché continuare a scrivere, per alcuni, è l'unico modo per immaginare il sole oltre il temporale.
Recensioni
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