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Ho appena finito di leggere questo libro e devo assolutamente recensirlo. Non è un giallo, non si deve leggere come un giallo: è una cosa totalmente diversa. Certo, la vicenda da cui si dipana il tutto, è un crimine efferato, il più tremendo e incomprensibile che possa esistere: il brutale omicidio di un bambino. Ancor più raggelante se si pensa che è una storia vera, di un fatto realmente accaduto nell'Inghilterra Vittoriana. Quello che fa l'autrice è qualcosa di eccelso: parte da un fatto di cronaca per descrivere con minuzia una società,un mondo, arrivando a tracciare un affresco a tutto tondo di quell'epoca svelandone le contraddizioni,le pulsioni soffocate, il gusto del macabro, la paura dello straniero, i pregiudizi sociali . Non solo, l'autrice parla delle implicazioni che questo caso ebbe nell'opinione pubblica, nella cronaca dei quotidiani, nei romanzi (di Wilkie Collins, di Dickens e molti altri...,). Fu il primo banco di prova di una figura particolare, il detective. Il detective , l'uomo che combatte il male e con la ragione rimette a posto ciò che sfugge alla ragione. L'infanticidio era spesso praticato nelle classi più povere; la novità di questo caso fu che ciò fosse avvenuto tra le mura di una famiglia rispettabilissima della buona borghesia ; risultò quindi evidente che non fosse un crimine dettato da necessità economiche ( spesso i bambini venivano uccisi perché non c'erano mezzi per sfamarli), ma da altro. Fu certo ,sin da subito , che ad uccidere il bimbo, fosse stato qualcuno che condivideva la sua stessa casa e che probabilmente aveva anche il suo stesso sangue : ma tutti gli abitanti della casa si professavano innocenti e profondamente afflitti . Un fatto di cronaca che sconvolse tutta l'opinione pubblica e che decreto ' la nascita del genere poliziesco (o giallo come viene chiamato in Italia). Lo consiglio caldamente. Un saggio storico veramente ben fatto, ma che al tempo stesso è molto di più di un saggio storico.
Questo libro è un mix stupendo tra ricerca storica, inchiesta e giallo alla Agatha Christie. È davvero particolare e non credo di aver mai letto qualcosa di simile. L'autrice ha fatto un lavoro di ricerca incredibile per trovare tutti i dati dagli archivi di questo fatto di cronaca realmente accaduto nell'Inghilterra del 1860, ciò si nota nell'attenzione ai dettagli e alle personalità delle persone coinvolte nel caso. Lo consiglio sia a chi ama i gialli, sia a chi ama il true crime sia agli appassionati di storia.
Non va letto come un giallo, come un thriller, quanto piuttosto come la ricostruzione storica di un vero caso di cronaca nera nell'Inghilterra vittoriana di metà Ottocento. In questa cornice prendono corpo molti e interessanti argomenti: la nascita della letteratura gialla e la figura del detective, il giornalismo investigativo e la formazione della opinione pubblica, il ruolo della società classista che difende il propro concetto di privacy contro le supposte ingerenze delle indagini giudiziarie. Tutto ciò converge in una lettura a più livelli che soddisfa il lettore appassionato di vicende rigorosamente non-fiction e come tali raccontate.
Recensioni
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Basato su una documentazione ineccepibile, Omicidio a Road Hill House ha conquistato un pubblico vasto perché può essere letto a diversi livelli. I lettori dei gialli vittoriani di Anne Perry lo hanno riconosciuto come il supremo modello del loro genere prediletto: la messa a fuoco di una vicenda delittuosa nel contesto di una società sessuofobica e classista, di cui si sciorinano i panni sporchi lungamente occultati in un tripudio di vindice soddisfazione. In un'ottica analoga, è verosimile che a loro si siano accodati anche estimatori e nostalgici di Il petalo cremisi e il bianco, attirati dall'inesauribile repertorio di esplicite nefandezze che lo storico ben informato può sovrapporre senza difficoltà agli spazi bianchi che in Dickens e in Stevenson – ma anche in Wilde, Conrad e James – alludono ellitticamente alle forme più estreme e scandalose del male.
Nelle quasi quattrocento pagine di Omicidio a Road Hill House c'è però molto di più della puntigliosa ricostruzione del dramma registrato dalle cronache il 29 giugno 1860: l'assassinio, in una villa del Kent, di un bimbo di tre anni, strappato dalla sua culla mentre i famigliari dormono, sgozzato a rasoiate e poi sepolto tra i rifiuti che intasano la latrina della servitù, nel giardino di casa. Presentarci con estrema cura i protagonisti e i dati della vicenda è per Summerscale soltanto il primo passo di un'evocazione che si avvale di una costante pluralità di punti di vista. Gli eventi non sono mai forniti nella loro nuda concatenazione, ma sempre filtrati attraverso i giudizi, gli echi e i commenti di testimoni e investigatori, giudici e giornalisti, romanzieri celebri e lettori dei quotidiani ansiosi di fornire la loro spiegazione del mistero.
Ne emerge un significativo ritratto dell'opinione pubblica inglese del 1860, dominata dalla ricerca di un capro espiatorio che soddisfi i suoi pregiudizi. È la governante del bimbo, giovane e attraente, a fornire la figura più adatta a questo scopo: si ipotizza che abbia accolto nel suo letto il padrone di casa, sia stata scoperta dal bambino e per questo lo abbia eliminato. A nulla valgono le diverse conclusioni cui giunge l'ispettore Whicher della neonata Scotland Yard. Il suo tentativo di incriminare la sorellastra adolescente della vittima è considerato inaccettabile; la logica delle sue argomentazioni naufraga davanti alla solidità del pregiudizio. Per i giornali come per i magistrati e per le alte sfere della polizia, soltanto una mente pervertita dall'invidia sociale può gettare il sospetto su una casta fanciulla di buona famiglia. Anche se un colpo di scena, molti anni dopo, darà ragione a Whicher, il caso di Road Hill House ne stronca per sempre la promettente carriera.
Nel raccontarci tutto questo, Kate Summerscale non ci permette mai di dimenticare che il diciannovesimo secolo è anche l'età d'oro del romanzo. Leggere il suo libro come la storia delle progressive infiltrazioni della cronaca nera nella narrativa vittoriana è estremamente stimolante e, grazie alla ricchezza dei suoi riferimenti, ci schiude un panorama molto ampio. Partono da Road Hill House le strade del poliziesco: dalla Pietra di luna di Wilkie Collins, i cui sfondi ricordano il teatro della tragica vicenda del 1860, alle avventure di Sherlock Holmes, apoteosi di quel lavoro scientifico di interpretazione degli indizi che al povero Whichert fu impedito di condurre a buon fine. Ma c'è anche qualche cosa di più. Il caso di Road Hill House è una sorta di crocevia narrativo in cui alcuni romanzi che ancora attendono di essere scritti – quelli di Dickens, Wilkie Collins e Conan Doyle – ne incontrano un altro, già scritto e pubblicato; un romanzo su cui le vicende reali sembrano modellarsi, certo all'insaputa dei protagonisti. Il padre del bimbo ucciso ha avuto una prima moglie, morta pazza; durante la sua malattia, si è innamorato della governante dei figli di primo letto, e l'ha sposata quando è rimasto vedovo: è la trama celeberrima di Jane Eyre, dunque, che incombe sull'antefatto di Road Hill House, in una sorta di inestricabile confusione tra finzione e realtà.
Viene da pensare a un amico di Baudelaire, l'incisore Meryon, che un giorno, proprio nel 1860, gli chiese se credesse davvero all'esistenza di uno scrittore chiamato Edgar Allan Poe. Baudelaire gli rispose che ci credeva, perché, altrimenti, non avrebbe saputo a chi attribuire i racconti che stava traducendo. "A una società di letterati abilissimi, potentissimi, e al corrente di tutto", gli rispose Meryon, che nel racconto Gli assassini della rue Morgue era convinto di aver riconosciuto un' allegoria crudelmente precisa della propria esistenza.
Mariolina Bertini
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