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Anno edizione: 2018
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L'autrice ad un certo punto del libro, si rivolge ad eventuali lettori uomini, proclamando che non gli importa un "cazzo" delle loro opinioni su quanto scrive perchè "gli uomini non sono un nostro problema". Credo che questo sia l'aspetto più negativo del femminismo (ma da sempre), quello di rivolgersi solo a metà dell'umanità, considerando l'altra negativa, qualcosa che non interessa nemmeno ascoltare. A tratti si leggono le sue "esplosioni" di rabbia per un genere maschile da lasciare a se (non è un mio/nostro problema, dove nostro ovviamente indica le donne) e, a tratti, vagheggia un mondo in cui il Sistema (maschile, perchè ogni male da li proviene secondo lei) viene distrutto per crearne uno (non si sa quale ne come) in cui "tutti" (mi vien da pensare "tutte") sono liberi e alla pari. La domanda si fa da sola: come è possibile un mondo in cui "tutti" sono "liberi e alla pari" se una metà del "tutti" non è un tuo problema ? Un libro a tratti confuso, misto di rabbia per tormenti non certo da lei subiti (è nata nel 78) ne inflitti dagli uomini di questa generazione alle donne delle passate, Parla continuamente del "patriarcato" come un sistema ordito "dagli uomini" per sottomettere tutte le donne. Una sorta di distopia Orwelliana dove il grande-fratello è il maschio e l'umanità succube è quella femminile. Il "patriarcato" scrive domina il mondo ed è tutto teso a sottomettere le donne le quali devono "distruggere il Sistema e rifarlo daccapo". Nella società in cui vive l'autrice, un occidente opulento sazio e insoddisfatto, non le manca proprio nessun diritto ne libertà. Certo non deve essere allegro vivere con l'incubo del fiato sul collo da questa spectre-patriarcale che tira le fila del mondo. Una novella Don-Chisciotte che però ha mandato al diavolo Sancio Panza, perchè, in quanto uomo, rappresenta il male da combattere. Se questo è il femminismo, non vedo buone cose per il futuro.
Lavorare insieme per il bene di tutti. Questo è vero femminismo.
Testo irriverente, a tratti spietato. Un libro necessario per sfatare il mito, ormsi diventato un vuoto conformismo sociale, del femminismo. L'unico "manifesto femminista" nel quale mi riconosco in pieno. L'ho comprato proprio pensando a questo, visto il titolo. E non mi ha deluso affatto. Consigliato a chiunque si definisce "femminista".
Recensioni
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Una terza via per il femminismo
Incastrato tra la sua versione storica e “indignata” e l’ultima incarnazione diluita e uber-pop, per il movimento femminista è arrivato il momento di immaginare nuove strade.
Femminismo è un termine-leviatano che ci capita di sentire almeno una volta al giorno e che allo stato attuale è in grado di ricoprire una superficie di significati talmente ampia da mandare in tilt parecchi cervelli ogni volta che qualcuno lo utilizza. Poco tempo fa mi è stato chiesto di presentare un saggio appena pubblicato in Italia di un’autrice americana. Il libro ha un titolo provocatorio, Why I Am Not a Feminist: A Feminist Manifesto (Perché non sono femminista. Un manifesto femminista – Sur, traduzione di Giuliana Lupi) e devo dire che il titolo non è l’unica provocazione a cui l’autrice Jessa Crispin è ricorsa nella stesura del saggio.
Il punto di partenza e l’arteria che percorre tutto il discorso di Crispin è un interrogarsi, anche in maniera abbastanza impietosa, sullo stato attuale del femminismo: dal logoramento del suo significato originario all’utilizzo del termine come strumento di marketing, il cosiddetto femminismo POP che vediamo su Instagram e su molte T-Shirt. È un dato di fatto che un certo modo di intendere il femminismo, quello più legato al concetto di empowerment (il tuo corpo è bellissimo, you can do it, puoi arrivare ovunque tu desideri, devi volerti bene eccetera eccetera) sia di gran lunga più vendibile rispetto a una concezione più radicale ed estrema, più marcatamente politica. Il femminismo dei reggiseni bruciati, degli aborti clandestini e delle rivendicazioni di classe è stato messo in ombra da un suo figlio più docile e individualista, perfetto per diventare uno slogan legato a qualche marchio di cosmetici o a una maglia Dior da $700.
Tempo fa leggevo sul New Yorker un articolo molto interessante che parlava di Reddit, in cui i Social Network venivano definiti come una festa: all’inizio gli invitati sono pochi e tutti amici dell’organizzatore, tutti quanti appartengono alla stessa bolla e si presuppone che la pensino più o meno allo stesso modo. Poi la festa si allarga e va fuori controllo. L’autore faceva questo esempio per raccontare di come Reddit ai primi tempi fosse un luogo prediletto unicamente da smanettoni – programmatori, designer, gente di Cupertino insomma – e adesso è stato costretto a infrangere la sua promessa di mantenersi sempre un luogo di assoluta libertà d’espressione per via di qualche suo subreddit degenerato pericolosamente in roba di sesso con animali, razzismo, sessismo, ma soprattutto per via delle accuse di essere il luogo d’incontro e proliferazione di alcune espressioni di estremismo politico che pare abbiano addirittura influenzato le ultime elezioni americane.
Fortunatamente nel femminismo non è accaduto niente di così greve, ma anche in questo caso la festa ha iniziato ad attirare così tanti invitati che adesso il senso originario è per forza di cose sommerso dalla popolarità. Un po’ come quando ci lamentiamo che il nostro artista del cuore non è più lo stesso perché si è svenduto. Jessa Crispin esordisce ponendo una netta distinzione tra ciò che per lei significa essere femminista e ciò che invece appartiene a una sfera interpretativa che allontana, più o meno colposamente, il concetto dal suo senso e dalla sua funzione politica. “Perché il femminismo sia gradito a tutti,” scrive, “bisogna fare in modo che i suoi obiettivi non inquietino nessuno; quindi le donne che si battevano per un radicale cambiamento della società sono fuori. Eppure lo scopo del femminismo era proprio inquietare. Perché una persona, o una società, operi dei cambiamenti drastici, deve avvenire un cataclisma mentale o emotivo. Bisogna sentire, e forte, l’esigenza di cambiare perché ci si adoperi per il cambiamento. E un femminismo in cui tutte sono a proprio agio è un femminismo in cui ognuna lavora per il proprio interesse personale, anziché per quello collettivo. Perciò, mentre il femminismo è ormai di moda, la concreta azione femminista per creare una società più equa è malvista come sempre.” (…)
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