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L'apprendista - Gian Mario Villalta - copertina
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L'apprendista
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apprendista

Descrizione


Nella dozzina del Premio Strega 2020

Fuori piove, fa freddo. Dentro la chiesa, in un piccolo paese del Nord-Est, fa ancora più freddo. È quasi buio, la luce del mattino non riesce a imporsi. Un uomo, Tilio, sta portando via i moccoli dai candelieri, raschia la cera colata, mette candele nuove. Sistema tutto seguendo l'ordine che gli hanno insegnato, perché si deve mettere ogni cosa al suo posto nella giusta successione. Parla con se stesso, intanto, in attesa che sulla scena compaia Fredi, il sacrestano. Tra una messa e l'altra i due sorseggiano caffè corretto alla vodka. Così inizia il teatro di una coppia di personaggi indimenticabile, che intesse nei pensieri, nei dialoghi e nei racconti un intreccio vertiginoso di vicende personali, desideri, rimpianti e paure che convocano la vita di tutto un paese, in una lingua che fa parlare la realtà vissuta.

Proposto per il Premio Strega 2020 da Franco Buffoni: «Personaggi autentici della provincia friulana animano questo nuovo romanzo di Gian Mario Villalta in modo nitido e poetico. "L'apprendista" – mentre pare raccontare la storia di due "umili" – Tilio e Fredi, riesce in realtà a fare esplodere universi di discorsi storici, sociali e profondamente umani, grazie a uno stile di scrittura elegante e intenso, intimamente sentito. Mentre la trama intesse nei pensieri, nei dialoghi e nei racconti un furibondo intrico di paure e desideri, rimpianti e speranze, capaci di coinvolgere le esistenze degli altri abitanti della piccola comunità. Scolpendo un microcosmo di realtà vissuta con notevole sapienza stilistica, Gian Mario Villalta, già molto noto e accreditato per i romanzi precedenti editi dalla stessa Sem e da Mondadori (ricordiamo "Tuo figlio"), consegna al pubblico dei critici e dei lettori – con "L'apprendista" – una delle opere più significative della nuova stagione.»

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Dettagli

SEM
2020
27 febbraio 2020
228 p., Brossura
9788893902403

Valutazioni e recensioni

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arianna
Recensioni: 3/5

Libro strano e stranissimo il fatto che sia arrivato in finale al premio Strega un libro che parli di sacrestani e Vangelo e ne sono molto contenta !!! Per di più opera di un mio corregionale . Detto ciò....mi è parso molto lento, volevo abbandonarlo, non l’ho trovato avvincente come ha scritto qualcuno, nemmeno elegante come ha scritto qualcun altro... ma ammetto i miei limiti...il modo di ripotare il flusso di coscienza continuo dei protagonisti nella loro originaria espressione, sgrammaticata, minimale, altro che elegante.. come riportata dal dialetto alla lunga mi ha stancata.. ricerchi anche delle belle espressioni poetiche o originali , per quanto non sia prerogativa delle belle forme la verità e la profondità di pensiero - tutt’altro - che qui vengono continuamente inseguite tra le righe...Una bella riflessione cui l’autore ci invita continuamente passando da Tilio e Fredi e viceversa ma... poi mi lascia un po’ delusa... Però ripeto : originale e apprezzata l’idea che incornicia il libro, anzi la scena ideale per una trasposizione teatrale .

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joe roberts
Recensioni: 5/5

La chiesa come simbolo di un luogo dove il ritmo delle giornate scorre placido e sonnolento, dove nulla di male può accadere, perché la morte, il male supremo, è addomesticata da riti millenari e perde la sua carica angosciosa. Qui si sono rifugiati due "vinti" dalla vita, spaventati dalla frenesia degli uomini. Il loro è un incontro che lentamente genererà un'amicizia fatta di gesti abituali e di rari dialoghi, all'interno dell'unico luogo dove tutto rimane sempre uguale a sé stesso.

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StZ
Recensioni: 4/5

È un’amicizia “furlana” quella tra Tilio e Fredi. Sono due uomini anziani, soli, ma non disperati, che danno ordine ai loro giorni svolgendo rituali quotidiani (il raschiamento della cera colata, il cambio dei fiori, la pulizia dei pavimenti, il riempire l’acquasantiera) all’interno di una chiesa sempre più vuota (ma forse “è lui, Dio, che ha abbondonato l’uomo.. è altrove, ci sono galassie migliori”), con preti sempre meno capaci di fare da guida spirituale e interpretare il Vangelo, la cui comunità di fedeli, in visibile calo, lascia spazio a nuove forme di relazione tra paesani, non meno scevre però di pettegolezzi e malignità. E così, tra suffragi, funerali e altre funzioni (dove si riaffacciano alcuni “fedeli” – Tilio li chiama “quelli”), e un turismo superficiale per vedere una pala del Tiziano, l’intimità, inizialmente quasi obbligatoria, tra sagrestano e apprendista diventerà un legame amicale fatto di pochi gesti fisici (un unico abbraccio tra i due, i colpetti sulla spalla in segno di comprensione) e attenzioni (il preparare a turno il thermos di caffè con vodka). La sagrestia, luogo angusto, diventa l’origine di discussioni sconfinate ed evocative, insicurezze, rimpianti, e talvolta sogni: riflessioni scaturite dalle scelte passate dei due protagonisti, che vedono tali scelte riversarsi nel presente. La storia parla anche di “letizia del cuore”: quella che Tilio mostrerà al figlio, e di Fredi nel cedere in qualche modo il suo posto a Tilio. Una “letizia del cuore” la cui mancanza aveva accomunato entrambi nei loro discorsi e nelle loro esperienze. Si può apprezzare, nel dialogo interiore di Tilio in alternanza a quello con Fredi (che chiama il suo apprendista Sognarello quando si perde nei meandri del suo stesso pensiero), un italiano che usa qua e là termini dialettali locali, rendendo la lettura a tratti umoristica. La scelta stilistica si presta bene a una trasposizione teatrale. STILE: 4 STORIA: 5 COPERTINA: 3

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Voce della critica

I vincitori del concorso "Caccia allo Strega" 2020

MB

Ci sono romanzi che spaziano nel mondo, come viaggiatori mai sazi. Ve ne sono altri che, più coraggiosamente, scelgono di rimanere chiusi entro luoghi angusti ed invisibili, con i rimpianti al posto dei desideri, le angosce al posto delle curiosità. Tilio e Fredi sono talmente vicini l’uno all’altro da rendere indefinibile il loro rapporto. Non un’amicizia, non un amore, forse nemmeno una complicità. La ridicola gerarchia che li separa – entrambi anziani, ma il primo apprendista sagrestano del secondo – non aiuta a dare un nome a quella quotidiana condivisione di gesti, manie, mansioni, pensieri cupi ed intricati e per lo più inespressi. Le giornate dei due protagonisti riescono comunque a riempire le pagine di questo libro, attraverso i loro dialoghi interiori con la vita, soprattutto quella non vissuta fino in fondo, ancora da decifrare. I dolori si articolano in domande, si affacciano alle loro menti sotto forma di sogni notturni, talvolta sono visioni solitarie, intrecciate intorno alle enigmatiche parole del Vangelo. Lo stile di Villalta non è facile, non è lineare, non è neppure scorrevole. Non cerca la coerenza, perché questa non è propria delle anime semplici e tormentate, quelle che, quando riflettono e soffrono, lo fanno con una spontaneità senza pretese: non badano né all’ordine, né alla chiarezza, certe come sono di restare inascoltate. Due uomini, dall’interno della loro la nicchia spirituale, lontana dalle chiacchiere di paese, raccontano le loro storie a pezzi sparsi, come per non affaticare la memoria. Parlano soprattutto a sé stessi, lasciando che, tra un ricordo e l’altro, l’oblio si insinui come una parentesi di sonno ristoratore. Quei frammenti di esistenza incompiuta, da rivedere, da continuare a non capire, non sono fatti per essere consegnati al giudizio altrui: rimangono pudicamente incartati nell’assorta insicurezza dei loro autori, come nelle coperte in cui loro corpi trovano un riparo dal gelo. Copertina: 3. Stile: 4. Storia: 5.

Giò

Due personaggi, due vite diverse, due scelte diverse: Fredi, sacrestano, è un ex combattente, non si è più sposato e ha lasciato tutto per fare il missionario: si reca in Giappone per poi far ritorno in paesino del Nord. Tilio è l’apprendista, un ex operaio che non ha un buon rapporto con il figlio. È proprio lui a dare il via alla storia, con la sua voce pacata, roca, stanca, che sembra sentirla rimbalzare contro le pareti del libro. Da sfondo, una chiesa, che obbliga al contatto (poi trasformatosi in complicità), fra i due uomini entrambi non spinti del tutto dalla vocazione; come cornice, un paese con i suoi pettegolezzi, le sue abitudini, tanto normale quanto “ostile” che come un’ombra, non abbandona Tilio e Fredi. Ormai anziani, legati al dovere dei giorni ripetitivi, affievoliti dalla loro stessa decorosa accettazione di non stare né bene né male, sono condannati come lancette di un orologio svizzero dalla loro stessa natura. Narrazione nitida, franca, semplice, non tediosa, talmente piacevole da far dimenticare che le vicende riguardano due anziani in chiesa. Ognuno di noi ha un piccolo focolaio nell'animo che facciamo di tutto per non far spegnere, ma quando ciò accade, ne conserviamo la cenere come se fosse oro. Copertina: 2 Storia: 4 Stile: 4

Beatrice

L’inizio di questo romanzo è spiazzante: veniamo trasportati di peso nelle vite di Tilio e di Fredi, li accompagniamo nelle occupazioni consuete e nei pensieri minimi di cui è fatta la loro -come la nostra- quotidianità. Per pagine e pagine l’autore narra e quindi dà dignità ad una serie di atti a cui siamo soliti non attribuire importanza, sequenze meccaniche di gesti necessari. E poi la svolta inaspettata, che ci introduce in un racconto profondo, bellissimo: lo squarcio della superficie che ci proietta in storie di dolore assoluto, in cui però la vicinanza, la consuetudine, la relazione con l’altro sono antidoto alla disperazione. Nel microcosmo solo apparentemente protetto di una chiesa di provincia, indifferente alle ingiurie del tempo atmosferico e al mutare del mondo esterno, si dipanano le vite dei due protagonisti, assolutamente comprimari: Fredi, il sacrestano e Tilio, l’apprendista che lo affianca. Il tempo lineare si sospende e si muta in un tempo circolare, scandito dal ripetersi delle funzioni sacre e nell’intimo dei due personaggi dalla necessità di rileggere il proprio passato per comprenderlo, di esaminare minuziosamente e pericolosamente i dettagli, le intenzioni, gli errori. Non più giovani, ma simili a “profughi tirati su da un naufragio”, il naufragio della loro vita, resistono e, pur rimanendo fisicamente immobili, compiono un percorso di analisi di sé che li porta a riconoscere e ad accettare le proprie debolezze. Tilio, l’apprendista, sta imparando il mestiere più difficile, il mestiere di vivere e, con la disposizione d’animo di un filosofo, non si ferma all’apparenza, ma attraverso un’instancabile ricerca si interroga e ci interroga sul senso dell’esistenza. Ci si salva solo insieme. L’apprendista è un romanzo straordinario, ha la forza di un dramma teatrale capace di portare in scena, in un alternarsi di dialoghi e monologhi interiori, la fragilità e la grandezza dell’umanità. Copertina:5 Storia:5 Stile:5

Leonardo

All'inizio è il freddo e sin dall'inizio sei con loro e percepisci il gelo, finché arrivano le prime candele a scaldarti. La voce di Tillio ti trascina nella storia e dopo poche pagine il lettore si ritrova a conversare mentalmente con i due protagonisti,mentre si confessano le reciproche solitudini, consapevoli di aver trovato la vera amicizia. È la storia di un incontro fra due anime che condividono lo stesso dolore, è il ritrovarsi dell'uno nell'altro e riscoprirsi autentici, è confessione e insieme catarsi. In questi ricordi cercano di preservare dall'usura del tempo la tradizione della vita in paese con i suoi ritmi dilatati, i suoi antichi rituali e i suoi granitici valori. Cercano uno scudo dal presente che non lascia il tempo per le riflessioni e la spiritualità. Fredi il sagrestano, Tillio l'apprendista: entrambi hanno da imparare e insegnare l'uno dall'altro. I dialoghi spaziano nel multiforme caleidoscopio della memoria, l'angusto luogo della chiesa viene superato, ci si ritrova proiettati in spazi sconfinati, in giornate assolate, in ricordi piovosi. E il lettore si sente parte di questo tutto multiforme, quasi spinto a confessarsi con i suoi compagni di viaggio. Più che un libro, un amico. Copertina: 3 Storia: 5 Stile: 5

SaraBanchi

Sette parti di caffè, per darsi forza, per tirare avanti; tre parti di vodka, per dimenticare, per non tornare indietro. Un panino con l’uvetta per Tilio e uno col prosciutto per Fredi. Questo il vero rituale in una chiesa dove si celebrano matrimoni troppo spesso senza amore e funerali di morti destinati a vita eterna. Tilio ha perso la sua Irma, Fredi la sua Simona; il figlio si è allontanato da Tilio e Fredi dal padre. Tilio non ha mai lasciato la sua città natale, ma in chiesa non entra da anni, Fredi ha girato il mondo, ma ha fatto della chiesa la sua casa. Due vite così diverse ma così simili, due vite parallele che però finiscono per incontrarsi su una panca, al fresco, davanti a una pala di Tiziano. “Tilio non ha la fede, per questo ha bisogno di capire”, per questo interroga costantemente il Don e il suo smartphone. Tilio non ha la fede, forse per questo non sarà mai un “sacrestano”, ma rimarrà sempre un “apprendista”. Tilio non crede, ma continua ad accendere le candele in chiesa, perché “è così che si fa, come si è sempre fatto”. Tilio non crede, ma forse spera che un giorno quelle candele possano asciugare la pioggia fuori. Tra dialoghi quotidiani, pensieri sul passato e domande sulla religione e su ciò che sarà, Villalta racconta, con uno stile elegante nella sua essenzialità, il trascorrere dei giorni di due anziani nel loro piccolo mondo, nella loro fortezza, mentre tutto fuori “si sfarina”. Copertina: 4 Storia: 4 Stile: 5

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Conosci l'autore

Ha scritto poesie tra cui ricordiamo Vanità della mente, Premio Viareggio 2011 e Telepatia, Premio Carducci 2016. Alla poesia ha dedicato attenzione critica con numerosi interventi su rivista, nel web e nel volume Il respiro e lo sguardo. Un racconto della poesia contemporanea (Rizzoli 2005); un’esperienza importante è stata la cura del “Meridiano” Andrea Zanzotto, Le poesie e prose scelte (con Stefano Dal Bianco), e del doppio Oscar che raccoglie gli Scritti sulla letteratura del grande poeta veneto. Il suo ultimo romanzo, Bestia da latte (SEM 2017) trova in questo libro un suo inatteso compimento.

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