Un tallèt ad Auschwitz 10 febbraio 1944-5 maggio 1945

E' notte e suona il campanello sono gli uomini in divisa (siete ebrei venite con noi) urlano, in piena notte rubandoci il sonno e la nostra intimita', la nostra vita. Ci caricano sui carri bestiame di un treno che porta la scritta Auschwitz, quando si aprono i portelloni ci scaraventano giu' dai vagoni senza il tempo di salutare e ne pensare, i miei cari non li rivedro' mai piu'. La foruna di essere addetto al lavoro nella baracca degli effetti personali degli assassinati e trovo un Tallèt, lo scialle di preghiera e comincio a ricordare mio padre quando pregava con noi col suo scialle, ma non devo ricordare, non devo dimenticare dove mi trovo, non sono piu' un uomo solo un pezzo, un morto che cammina, ricordare mi distrugge e voglio vivere. Arrivata la tanto sperata liberazione lo chiamarono Signore, Teo si chiese perche' lo chiamarono Signore? Io fino a ieri ero solo cenere da concime e ora mi chiamano per nome, ora non ricordo nemmeno il sapore del pane ne del cibo, non riconosco il valore del denaro e ne la mia citta', sono sporco macilento imbruttito. Teo non lascio' mai Auschwitz, il Lager divenne la sua pelle e in quel luogo lascio' le ceneri di suo padre confortandosi col pensiero che il papa' sarebbe rimasto sempre li indossando quel Tallèt pregando per tutti, sia per i vivi che per i morti. Da leggere.