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Un libro davvero tosto da leggere.Necessario soprattutto per i più giovani e dolorosissimo per i più adulti.In particolare la parte in cui Miriam parla di Didi è quasi inaffrontabile. Eppure, seppur sia narrativa, sono avvenimenti realmente accadute.E il bestiale medico realmente esistito ( e aimé mai catturato,morto tranquillamente in america latina ). Come esistito è l' olocausto dei Rom. Un tema meno affrontato di quello ebraico e quindi ancor più necessario da diffondere.Un testo che va proposto nelle scuole. Malika/Miriam non si dimentica.
Siamo abituati a considerare le orribili vicende dei campi di concentramento e di sterminio come una questione riservata agli ebrei, invece con questo romanzo la Axelsson apre uno spiraglio sulla popolazione rom, a cui toccò una sorte non dissimile ad Auschwitz e Ravensbruck. Malika è dunque una rom, una zingara, che si aggrappa con tutte le sue forze all'istinto di sopravvivenza, anche se questo significa assumere l'identità di una persona morta e identificarsi in tutto e per tutto con lei, passando per ebrea nel volgere di pochi attimi. Malika diventa così Miriam, e per lei la morte certa diventa possibilità di vita, anche se il costo da pagare sarà far calare l'oblio sulla storia della sua giovinezza. Ma i ricordi non si possono cancellare, e quegli incubi che talvolta turbano il sonno di una ormai anziana Miriam riaffiorano pian piano anche nelle sue parole e infine prorompono in una passeggiata-confessione con la nipote Camilla. Ecco allora rivelarsi la straordinaria determinazione e solidarietà di alcune donne, che pur nelle condizioni estreme al limite della sopportazione riescono ad aiutarsi e a sopravvivere. Il destino non sarà clemente con ognuna di loro, ma Miriam riuscirà a trovare la luce in fondo al tunnel, una luce che per lei è la Svezia.
562 pagine del puro dolore provato da una piccola ragazza rom all'interno dei campi di concentramento e non solo. Un racconto autentico e dettagliato di cosa sono stati in grado di fare gli umani durante la seconda seconda guerra mondiale
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Io non mi chiamo Miriam è un libro che parla di opportunità. E di scelte. Del momento in cui, scesa dal treno, Malika, la bambina rom, diventa Miriam, la ragazza ebrea. E del gusto speciale che ha una mela quasi marcia, raccolta da terra mentre cammina in fila, in silenzio, con altre decine di uomini e donne verso l’ingresso di un campo di concentramento.
È la storia della vita di una donna vissuta da un’altra. Del coraggio di sopravvivere quando intorno tutto muore: l’umanità, un padre, la dignità, l’amatissimo fratello Didi, la coscienza, l’amica Else, che le ha offerto un posto nel suo letto e le ha insegnato lo svedese.
Della forza di non ricordare che è esistito “un prima”, felice. Della gratitudine di poter vivere un “dopo”, anche se in un paese straniero, dove è arrivata salendo su un treno che ancora il caso le ha assegnato.
Il libro si apre su Miriam un’anziana signora svedese, è vedova, ha un figlio e una nipote. Ha vissuto una lunga vita. Non ha mai detto a nessuno la verità.
Così, il giorno del suo 85esimo compleanno, svelando il suo segreto, ci trascinata nell’abisso terrificante del suo passato nei lager, nella descrizione minuziosa del trascorrere delle giornate, nella brutalità con cui venivano trattate le prigioniere; gli esperimenti di Mengele sui bambini, il pane e segatura come unico pasto, le camere a gas.
E poi ci mostra il dopo: la libertà che pesa; la paura che non va mai via, anche in un paese sicuro che non ha visto gli orrori della guerra; il non sentirsi mai a casa, anche tra le braccia di un marito amato; l’angoscia costante di essere scoperta una bugiarda che ha tradito il suo popolo, i ROM.
La storia di Miriam si intreccia con la Storia.
Pervade il libro la sensazione struggente di lotta per la sopravvivenza a tutti i costi, una lotta con le unghie e con i denti. Lascia sgomenti l’idea che una volta ottenuta la libertà Miriam si senta perduta ed estranea. Sente che ha perso la sua identità. Sa che è il prezzo che ha pagato per avere in cambio una vita da vivere. Stride il contrasto tra la vita vissuta da Miriam e quelle dei suoi cari, il figlio, la nipote, le nostre vite vissute pacificamente al sicuro, così lontane dalla sua disumana esperienza.
Recensione di Teresa Zitarosa
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