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Non c'è una fine. Trasmettete la memoria di Auschwitz
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Non c'è una fine. Trasmettete la memoria di Auschwitz - Piotr M. A. Cywinski - copertina
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Non c'è una fine. Trasmettete la memoria di Auschwitz

Descrizione


«Vi parlo questa sera di un argomento, l’immensità del quale vorrei che realizzaste appieno». - Edward B. Raczyński, 17 dicembre 1942

Prima di vederla, la Shoah era per quasi tutti semplicemente incredibile, non-credibile, troppo oltre l'umana comprensione. Dopo averla vista, oggi, per molti visitatori del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau è l'indicibile, non-dicibile, una violenza troppo grande per poter essere espressa a parole. Queste pagine cercano di trovare una soluzione, anche solo approssimativa al dilemma della memoria: Come fare a trasmettere la memoria dell'indicibile e del non-credibile?, per giunta in un tempo nel quale i testimoni diretti, per motivi anagrafici, stanno rapidamente venendo meno? È questo il difficile compito del direttore di un museo tanto particolare come quello di Auschwitz-Birkenau, ed è questo ciò che Cywinski cerca di fare in queste pagine.
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Dettagli

3
2017
4 gennaio 2017
160 p., Brossura
9788833928340
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Indice

Le prime pagine del romanzo

Vi parlo questa sera di un argomento, l’immensità del quale vorrei che realizzaste appieno.

Se dovessi scegliere la frase di esordio più appropriata, sceglierei le parole scritte qui sopra o qualcosa di molto simile. La storia iniziò negli anni trenta del Novecento, ma fu nei primi anni quaranta che prese drammaticamente il suo slancio più feroce. Le prime frasi caddero dalle labbra dei testimoni, specialmente da quelle di coloro cui il fato non permise di recitare fino in fondo il loro ruolo mortale. I capitoli successivi vennero aggiunti da giornalisti e diplomatici, terrorizzati dallo scenario che si svelava loro in dispacci e altri rapporti. Poi, molto tempo dopo, altri furono scritti da storici, pensatori e insegnanti.
Con queste parole il conte Edward Bernard Raczyński, all’epoca ministro degli Affari Esteri del governo polacco in esilio, iniziò il suo discorso alla radio. Si era pochi giorni prima di Natale, giovedì 17 dicembre 1942. A Londra.
La guerra infuriava. La Germania aveva occupato praticamente l’intera Europa, e il mondo seguiva avidamente le notizie provenienti dal fronte. La battaglia di Stalingrado stava entrando nella fase più critica e l’implacabile inverno continentale si stava rivelando un fattore decisivo. Per la prima volta il potere del leader del Terzo Reich, il Führer Adolf Hitler, mostrava segni di debolezza.
All’epoca, pochi nel mondo libero si interessavano al destino della popolazione civile che viveva da qualche parte nell’Europa centrale sotto l’occupazione tedesca, essendo una questione di scarsa rilevanza tattica. Quasi tutto sembrava dipendere dal fronte sovietico. Eppure proprio ciò che allora stava accadendo nelle foreste e vicino ai binari delle ferrovie avrebbe avuto sul futuro dell’Europa un impatto enorme, di gran lunga maggiore rispetto al destino delle divisioni e degli eserciti sacrificati uno dopo l’altro sull’altare della vittoria o su quello della sconfitta dagli strateghi militari. Era là, lontano dalla linea del fronte, nei campi e negli altri luoghi della Shoah, che la buona vecchia Europa abbandonò tutto ciò che aveva rappresentato: fede, umanesimo, rispetto per l’individuo, il primato del diritto e della coscienza umana. Era là che una tragedia europea davvero senza precedenti si stava realizzando. Un volto della vecchia Europa era irrimediabilmente perduto.
Da oltre un anno i tradizionali distretti ebraici e gli shtetl dell’Europa occupata dai tedeschi erano stati progressivamente trasformati in ghetti, e questi ghetti erano diventati gradualmente liste di trasporti in base alle quali persone innocenti venivano portate in un luogo in cui venivano assassinate, mentre i loro corpi venivano trasformati in cenere. La macchina dello sterminio prendeva rapidamente slancio, i tedeschi stavano creando metodi di assassinio di massa sempre più moderni ed efficienti. La Shoah stava distruggendo madri ebree, padri, fratelli e sorelle, nonni e nonne. Il loro mondo stava completamente sparendo.
Grazie agli sforzi del governo polacco a Londra, il 17 dicembre 1942 la Camera dei Comuni inglese, prendendo atto delle decisioni prese in contemporanea a Mosca e a Washington, adottò e annunciò una dichiarazione dei dodici stati alleati che riguardava la responsabilità tedesca per i crimini commessi contro gli ebrei d’Europa. Era la prima condanna internazionale, ufficiale e pubblica, della Shoah, diffusa in simultanea nelle capitali degli stati alleati. Nonostante ciò, la questione ebbe scarsa eco sulla stampa del mondo libero, e la maggior parte dei giornali le dedicarono solamente poche frasi, nelle ultime pagine.
Quello stesso 17 dicembre 1942 i tedeschi trasportarono ad Auschwitz qualcosa come duemila ebrei dal ghetto di Płońsk. Il paradosso storico è che Płońsk, città della provincia polacca, è anche il luogo in cui era nato nel 1886 Dawid Grün, meglio conosciuto come David Ben Gurion, che più tardi, nel 1948, avrebbe giocato un ruolo importante nella creazione dello Stato di Israele. Tra coloro che in quel giorno di dicembre furono trasportati da Płońsk ad Auschwitz, circa 1200 persone, soprattutto anziani, malati e bambini, vennero spediti direttamente alle camere a gas. Gli adulti rimanenti, 523 uomini e 257 donne, ritenuti fisicamente idonei e dunque abili al lavoro schiavo, vennero condotti come prigionieri nel più vasto campo di concentramento del Terzo Reich. Là ricevettero uniformi a righe e numeri da prigioniero. Vennero destinati ai lavori forzati.
Lo stesso giorno il Reichsführer SS emanò una direttiva che ordinava a tutto l’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich di consegnare ai campi di concentramento 35000 prigionieri abili al lavoro nelle settimane successive. Anche se lo sterminio rimaneva uno degli obiettivi principali della politica tedesca, il lavoro schiavo (che nel 1942 i campi di concentramento stavano solo iniziando a sviluppare su scala industriale, così da poter portare concreti benefici economici al Reich) stava modificando il corso dello sterminio ad Auschwitz.
La crudele istituzione della selezione si fece strada in quel momento. Le persone venivano selezionate per essere uccise immediatamente o per morire nel giro di poche settimane nell’agonia dei lavori forzati.
Gli ebrei venivano uccisi nella maniera in assoluto più spietata, ma bisogna ricordare che il Terzo Reich aveva in precedenza assassinato anche i disabili ed era prossimo a sterminare i rom. Inoltre, i piani – anche se di rado menzionati nei documenti – andavano evidentemente ben oltre. Dopotutto, il Reich era destinato a essere grande e millenario. Aveva bisogno di un enorme «spazio vitale». Quello che il conte Raczyński non sapeva ancora era che il primo trasporto di deportati polacchi aveva lasciato la regione di Zamość quattro giorni prima, diretto ad Auschwitz. Il Generalplan Ost stava ora entrando nella fase in cui si mentiva alla popolazione slava, esattamente come in precedenza si era mentito alla popolazione ebraica. Agli abitanti venne detto che per poter dare vita a nuove terre tedesche gli slavi avrebbero dovuto essere reinsediati più a est. Ma quando i primi trasporti lasciarono la regione di Zamość, viaggiavano nella direzione opposta: andavano a ovest, verso Auschwitz. Dieci giorni prima, sulla base di informazioni orali e di documenti scritti che gli erano stati portati da Varsavia dal corriere Jan Karski (Kozielewski), il conte Raczyński sottopose ai governi del mondo libero il più completo rapporto esistente all’epoca su come le unità speciali naziste stessero sistematicamente assassinando gli ebrei su larga scala nei territori un tempo polacchi e ora occupati dai tedeschi. A molte, moltissime persone queste notizie sembravano inverosimili, o comunque largamente esagerate. Per questa ragione il conte Raczyński, il diplomatico e futuro presidente del governo polacco in esilio, informò l’opinione pubblica molto apertamente. Lo fece quella sera, il 17 dicembre 1942, quando parlò di un argomento la cui immensità sperava che venisse realizzata appieno dagli ascoltatori. Lo stesso desiderio, le stesse domande, la stessa incertezza hanno forse turbato chiunque abbia provato a scrivere anche solo qualche parola sulla Shoah.
Ancora oggi, a settant’anni da quella trasmissione radiofonica.
Poiché allora molto, moltissimo doveva ancora essere mostrato. E ancora oggi, a molte persone, sembra una cosa del tutto inverosimile.

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cecilia
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Non c'è una fine. Trasmettete la memoria di Auschwitz

Una lettura per capire come Auschwitz non sia un luogo da visitare come tanti altri. Occorre la necessaria conoscenza storica, la consapevolezza di attraversare una memoria che deve diventare responsabilità di tutti noi nel trasmetterla.

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UG
Recensioni: 5/5

Prezioso. Riflessioni non banali del direttore del Museo di Auschwitz.

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Piotr M. A. Cywinski

1972, Varsavia

Direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau dal 2006, è nato a Varsavia nel 1972 e si è laureato in storia a Strasburgo. Attivo partecipante nel dialogo ebraico-polacco e cristiano-ebraico, è membro del Consiglio polacco di cristiani ed ebrei e nel 2008 è stato ambasciatore dell'Anno internazionale del dialogo culturale. È anche presidente dell'Associazione degli intellettuali cattolici di Varsavia.Dal 2005 al 2015 è stato direttore del Consiglio del Centro internazionale per l'Educazione su Auschwitz e l'Olocausto.In Italia è stato pubblicato il suo libro Non c'è una fine, uscito per Bollati Boringhieri nel 2017.

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